giovedì 22 marzo 2012

21/03/2012

Giorni Passati.                                                     
21/03/2012
Le serrande sono state abbassate, l’unica loro entrata è stata bloccata così come la mia unica uscita. Li sento battere le loro mani morte contro il metallo arrugginito della serranda senza sosta, tutto il giorno, tutta la notte.  Agli inizi pensavo che con tutto quel battere insistente avrei perso il controllo e mi sarei impiccato al lampadario, ma poi, ho iniziato ad abituarmi e ora me ne sto seduto sul pavimento con due pezzi di stoffa infilate nelle orecchie. Non è stata una grande idea uscire dal negozio per chiudere le inferiate, quella mossa mi poteva costare la vita, ho attirato uno di loro e i suoi simili l’hanno seguito allargando ora in ora le schiere di quei demoni. Sono là fuori e li sento battere e gemere. Il loro lamento, continuo e instancabile, mi perseguita nei miei sogni, che ora, sono solo incubi. Da due giorni sono rintanato qua dentro, nello stesso posto che un giorno mi dava da vivere e che ora rischia di ammazzarmi.
Il mio negozio è posizionato sulla via principale, piccolo e molto semplice, vendevo occhiali ai clienti di un dottore che aveva uno studio vicino al mio negozio,. Gli affari mi permettevano di vivere modestamente. Progressivi e occhiali per lo strabismo, con qualche trucco da commerciante, riuscivo a guadagnare sempre più del dovuto; si sa che i commercianti sono una specie bugiarda, con un eloquenza maligna.  Il negozio si estendeva su circa cinquanta metri quadrati, inserito in un vecchio palazzo ottocentesco. All’interno tutto era arredato con mobili di legno chiaro, provenienti dall’anno 1986. Il parquet era di un legno scuro e completamente rigato causato dalla scarsa manutenzione del proprietario. Tra la serranda e la vetrina c’era un piccolo portichetto, una piccola rientranza, dove, nei tempi andati sostavo a fumare una sigaretta. Ora, invece, la moquette che copriva quel piccolo atrio era macchiata di sangue e brandelli di carne. Di fronte, dall’altra parte della strada, c’era la banca più importante del mio paese, dove era sorvegliata giorno e notte da uomini armati della polizia e che ora si aggirano nei suoi pressi con pelle morta e occhi spenti, sopraffatti dalla “piaga”. Alcuni di quei poliziotti ora fanno parte della schiera che percuote il mio riparo, alcuni di questi li conoscevo, e la sofferenza nel vedere i volti a me noti, morti e vuoti, mi gela il sangue, e mi crea un senso di disperazione che tutt’ora mi consuma.  Il fetore di decomposizione si insinua attraverso i vetri e mi provoca nausea e rigurgito di continuo.  Le loro mani, lunghe e tese, fatte passare nelle fessure della serranda si muovevano con azioni spente, cercando nel nulla, niente. Volevano e bramavano la mia carne, il mio corpo. Volevano scuoiarmi, farmi a brandelli, sfamarsi nel mio corpo ancora caldo.
Ho visto di quello che sono capaci. Io sono testimone della loro insaziabilità, della loro fame inarrestabile, della loro diabolica brutalità. Due giorni indietro, dopo due minuti che chiusi la serranda, una donna sui cinquant’anni, con in volto uno sguardo deturpato dal panico, si aggrappò con mani tremolanti all’inferriata, chiedendo e implorando aiuto con lacrime che, scendendo, si univano alle macchie di sangue che macchiavano la sua faccia. Oramai mi ero barricato, avevo bloccato l’entrata del negozio con la scrivania e ogni genere di cosa pesante che c’era presente. Non sono riuscito a salvarla, non sono riuscito nemmeno a togliere la prima parte del riparo, che uno di quei  “cosi” ,la prese per i capelli e con forza animalesca affondo i suoi denti nel gola di quella donna. Un urlo acuto e agonizzante si levo nell’aria di quel mattino, strozzato dal sangue che, come un fiume in piena, riempiva la sua bocca traboccando dalle labbra, e poi, silenzio. Si spense ogni lamento umano,  e restò solo il rumore costante di bocche che masticano,  accompagnati dai loro instancabili gemiti. Nel sistemare l’oggetto che avevo spostato, uno di loro, mi notò e allungando la mano attraverso la serranda cercò di prendermi,  non si fermò nemmeno per un istante. La sua mano si apriva e si chiudeva, così come la sua bocca, cercando di afferrare il mio corpo che era a due metri di distanza e al sicuro dietro la vetrina. Questo, con i suoi orribili lamenti, richiamò quelli che nella via si trascinavano senza meta. Arrivarono uscendo dai vicoli, dall’inizio della strada, uscivano dalle case, non tutti insieme, pochi alla volta, e tutt’ora continuano a farlo, lentamente con i loro passi morti arrivano, si ammassano e li, premono e percuotono  la serranda.
La loro tenacia nel tentar di afferrarmi , anche se c’erano un inferriata e la porta del negozio a dividermi da loro, non aumento e non diminuii un istante. Ora davanti a me osservo una cinquantina di mostri che con i loro gemiti soffocati, si accalcano alla mia saracinesca scuotendola con i loro corpi morti. Sanno che sono li dentro, loro sanno che un pasto li attende al di là di quel riparo. Tremo, sudo, ho paura. Non mi rimane molto, non ho molta acqua se non la solita bottiglia di mezzo litro nella mia borsa. Il cibo non esiste. Devo andarmene, mi ripeto, da qui devo fuggire, non passerà molto tempo prima che quella vecchia inferriata arrugginita ceda e mi si riversi un orda famelica di creature demoniache nel mio, insignificante e quanto meno impotente, rifugio, e se questo non accadrà allora vorrà dire che morirò di fame e di sete in orribili sofferenze.
Il mio futuro odora di morte.